Alle Canarie, tra turismo, redditi bassi e disoccupazione persistente, i nodi economici restano evidenti: oltre 400.000 residenti guadagnano meno di 1.000 euro al mese, più del 47% della popolazione attiva; il 45% dei pensionati riceve assegni inferiori a 1.000 euro. Con circa quindici milioni di turisti l’anno, il PIL pro capite cresce lentamente e la produttività è ferma. Il confronto con Spagna, Francia, Germania, Italia e Regno Unito chiarisce i limiti del modello turistico e rilancia il tema della diversificazione economica dell’economia canaria.

Dati su redditi, pensioni e lavoro
Più di 400.000 canari non arrivano a 1.000 euro al mese, equivalenti a oltre il 47% della popolazione attiva. Il 45% dei pensionati percepisce pensioni sotto il migliaio di euro, effetto della disoccupazione di lunga durata e dell’elevata quota di pensioni non contributive.
Alle Canarie il 13% degli isolani è disoccupato e il 33% dei minori di 25 anni non ha lavoro. Questi indicatori coesistono con il peso del turismo nelle Canarie, senza tradursi in miglioramenti sociali diffusi.
Confronto europeo sull’occupazione
In Spagna la disoccupazione supera ancora il 10% e, paradossalmente, si celebra come un successo clamoroso. Al contrario, in Francia un tasso del 7,5% si giudica già una crisi; Germania e Italia oscillano attorno al 6%, mentre il Regno Unito è vicino al 4,5%.
Tendenze strutturali comuni
Queste economie condividono tratti preoccupanti: erosione del potere salariale, deindustrializzazione, crescita del debito e aumento della disuguaglianza. Inoltre, salvo casi parziali di Francia e Spagna, si registra il restringimento dello Stato sociale.
Il quadro specifico delle Canarie
Il caso canario è particolarmente delicato: i redditi delle famiglie sono contenuti – in larga maggioranza sotto i 22.000 euro annui – e la povertà colpisce oltre un terzo delle case, con rischio di ampliarsi. Il PIL pro capite è aumentato negli ultimi anni, ma di poco, e la produttività resta quasi stagnante.
Il Governo regionale segnala da quasi un anno una rallentamento dell’economia regionale, mentre la disoccupazione torna ad affacciarsi. È la “maledizione dei cicli” dell’economia canaria.
Il falso dilemma sul turismo
Di recente, un deputato e sindaco di Santa Cruz de Tenerife ha posto una domanda capziosa che non aiuta il dibattito pubblico: «Vorrei chiedere a chi critica il turismo quanti posti di lavoro è disposto a far scomparire riducendo il numero di visitatori».
La questione rilevante, invece, è come sia possibile che, con quindici milioni di turisti l’anno, sopportiamo ancora oltre il 13% di disoccupati, una povertà tenace, una produttività congelata dall’inizio del secolo e un PIL pro capite modesto che avanza alla velocità di una lumaca. Creare dilemmi escludenti non è accettabile né sul piano politico né su quello socioeconomico.
Come si è consolidato il turismo
Pur con esperienze precedenti, le Canarie hanno puntato sul turismo dalla fine degli anni Sessanta. La vera turistificazione è iniziata però a metà degli anni Ottanta e si è accelerata negli anni Novanta. Da allora il settore turistico è cresciuto ininterrottamente, salvo la stabilità durante la crisi del 2008 e la breve parentesi della pandemia di Covid.
Rendimenti e limiti del modello
Non è stato un errore: il turismo ha dinamizzato un’economia arretrata ed è stato la via della modernizzazione produttiva dell’Arcipelago. Tuttavia, mentre la sua capacità estrattiva resta notevole – soprattutto per le imprese straniere, che si appropriano di oltre il 75% dei profitti – la redditività sociale si è assottigliata, evidenziando limiti sempre più chiari e perniciosi per sviluppo, coesione sociale e costi territoriali e ambientali.
Politica e continuità del modello
Per le élite politiche, al di là di qualche parola d’ordine logora, il modello turistico resta intoccabile e merita una complicità quasi idolatrica. Anche quando il PSOE ha partecipato o guidato il Governo regionale, non si è discostato dal modello.
Così, sembra che si debba restare vincolati a questo turismo e a nient’altro. Ciò condanna i giovani canari – e perfino i bambini di oggi – a precarietà, bassi salari e a un consumo eccessivo dello spazio vitale.
Un’agenda per la diversificazione
È il momento che le Canarie prendano sul serio sé stesse. Serve un consenso politico tra le principali forze e la collaborazione di quel segmento imprenditoriale, minoritario ma ambizioso, disposto a sostenere una diversificazione economica realistica nei prossimi vent’anni, giocando con intelligenza le carte a Madrid e a Bruxelles.
In assenza di questo patto, il futuro rischia di presentarsi opprimente, frustrante e molto oscuro. I dati su redditi, disoccupazione, PIL pro capite e produttività indicano che il solo turismo nelle Canarie non basta più: il riequilibrio del modello economico è la condizione per una crescita più solida e inclusiva.




